OPERE
E OGGETTI
MICRO
CINEMA
In occasione della mostra RACCONTI (IN)VISIBILI gli artisti selezionati narrano storie non codificate e registrano memorie ed esperienze non scritte, interpretando il patrimonio immateriale come un passaggio culturale, come un insieme di conoscenze e di competenze e infine come una pluralità espressiva che, su scala individuale, regionale e nazionale, compone il mosaico umano di ciò che potremmo definire "italianità". Come un barometro, l’arte rappresenta la nostra capacità di continuare a mettere in discussione noi stessi come individui e come popoli, salvaguardando e rinnovando il nostro patrimonio culturale, mentre ci dirigiamo, spesso incerti, verso il futuro. Gli artisti esposti sono narratori straordinari, dei Jules Verne contemporanei, coesi nella loro ricerca di linguaggi e codici estetici. Viaggiatori dell'arte in grado di consegnare alle nuove generazioni il nostro prezioso e atavico patrimonio storico e popolare, che, tra immaginario linguistico e coraggio iconografico, viene trasmesso nel comune obiettivo di costruire il futuro senza mai dimenticare il passato.
La cultura dell'immagine, alias centralità del visivo, non è affatto quella cosa moderna che più moderna non si può.
Se uno risale agli Insegnamenti, all'Oriente Antico, al Tantra Madre, apprende subito che se non si eÌ€ consapevoli nella visione, eÌ€ alquanto improbabile che lo si sia nel comportamento. Laddove s'intende, molto intensamente, per visione, non solo il fenomeno visivo, ma la totalitaÌ€ dell'esperienza, cioeÌ€ ogni percezione, sensazione, evento mentale ed emotivo. Visione eÌ€ cioÌ€ che vediamo come esperienza, ed "eÌ€" l'esperienza. Nell'orizzonte antico essere inconsapevoli nella visione significa essere incapaci di cogliere quello che sorge nella veritaÌ€ dell'esperienza. E in questa luce, la modalitaÌ€ di fruizione "immersiva" appare un'invenzione inattuale: la visivitaÌ€ sarebbe immersiva per natura. Vedere, diceva Merleau-Ponty, è per principio vedere più di quanto si veda. Persino il suono si può vedere. E il timbro si tocca, si tocca a vista. C'è una visività del timbro: è quella che Schneider chiamava, con metafora antico-cinese, "luce degli orecchi", che nella percezione orientale dell'arte non è che l'esperienza visiva del suono.
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